“L’arte non ha morale (…) le grandi opere d’arte mettono in crisi l’artista stesso”
Oliviero Toscani
Suonano al campanello. Vai ad aprire, ed il corriere ti lascia il catalogo di una Biennale. Lo sfogli, hai un attimo un sussulto. Un paio di anni prima te la sei presa perché Flash Art, una delle riviste più in evidenza dell’arte contemporanea, ti colloca al penultimo posto dei 50 artisti più influenti italiani degli ultimi anni. Sotto di te, solo un tizio semi-sconosciuto, definito dalla rivista stessa il Cattelan dei poveri.
Scrivi al direttore del giornale, tale Giancarlo Politi, una mail pacata e serena, in cui cerchi di evidenziare il tuo dissenso velato:
“Caro direttore, il suo giornale mi fa vomitare, non è possibile che un idiota come lei possa dirigere un giornale che si reputa dedicato a un’arte senza riserve (…) Trovarmi al penultimo posto mi ha veramente disturbato, visto che credo di aver segnato il panorama iconico più di chiunque altro (…) le vostre classifiche potete ficcarvele in c**o, arrivederci. Oliviero Toscani, quello dei sigari.”
La singolar tenzone prosegue per un po’ di tempo, fino a che Politi, per riappacificarsi, non ti propone di curare una sezione della prossima Biennale che si sarebbe svolta a Tirana, insieme ad altri artisti come Maurizio Cattelan, Vanessa Beercroft, Nicolas Bourriaud.
Accetti, mandi quattro artisti spiazzanti: Dimitri Bioy che realizza video hard amatoriali, Bola Ecua che realizza fotocopie truci e crude per denuncia sociale verso la pena capitale nel suo paese, Carmelo Gavotta un voyeurista cronico e Hamid Piccardo, il fotografo apprezzato da Al Qaeda.
Borderline, tanto quanto il manifesto della manifestazione che rappresenta una bandiera albanese, con un’aquila bicipite distorta come quella usata dall’Esercito di Liberazione del Kosovo fino a poco tempo prima, in un periodo delicato e drammatico come quello delle guerre jugoslave dell’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia
E poi, il catalogo. Quello che stai sfogliando ora.
È quello che sembra?
Anche a Livorno, sembrò quello che poi non fu.
Si vociferava che Amedeo Modigliani, prima di partire per Parigi, gettò nei fossi livornesi alcune sue sculture, che da sempre sono state cruccio e disperazione degli affamati d’arte, che anelavano di ritrovare le sue opere.
Nel 1984 tre studenti livornesi trovarono in un canale a Livorno tre teste scultoree, che vulgata e critici autorevoli come Giulio Carlo Argan e Bruno Zevi, non esitarono ad attribuire al genio di Modì.
Situazione analoga a quella che vide coinvolto anche Michelangelo Buonarroti, che poco più che ventenne realizzò un Cupido dormiente commissionato da Lorenzo De’Medici:
Quando dallo stesso gli fu proposto di invecchiarla per farla sembrare più vecchia di qualche centinaio d’anni per poterla rivendere al cardinale Raffaele Riario come una statua antica, accettò dietro un pagamento di trenta ducati.
La voce della truffa si diffuse, ma incredibilmente nulla andò male, anzi; possiamo definire quell’episodio come la porta girevole della carriera di Michelangelo, che da talentuoso falsario, venne invece portato a Roma da Jacopo Galli, segretario del Cardinale raggirato, ma che rimasto meravigliato dalla sua mano, lo volle a tutti i costi, e lo iniziò alla sua leggendaria attività.
Meno impensabile la parabola livornese; un mese e mezzo dopo il ritrovamento delle teste, venne fuori l’amara verità: era tutto falso, un atto volto ad «evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente. Inoltre, io sono un artista, mi muovo nei canali dell’arte, volevo suscitare un dibattito sui modi dell’arte e questo mi è riuscito in pieno»
Eppure quello sul catalogo, stavolta, sembra proprio Osama Bin Laden con un mitra in mano, che fa da “volto” alla Biennale di Tirana. Sopra c’è il tuo nome, sei un curatore e di cui hai fatto poster e pubblicità.
È da poco passato l’11 settembre del 2001.
Oliviero Toscani.
Ma tu, non ne sai nulla: non hai mai sentito parlare di tutto questo.
Questo è uno dei più grandi inganni della storia dell’arte, congeniato da Marco Lavagetto, il cinquantesimo artista nella famosa classifica: il Cattelan dei poveri che per una volta, si è preso la ribalta fingendosi Oliviero Toscani per tutto lo scambio di mail con Giancarlo Politi.
E i quattro artisti? Inventati da lui di sana pianta, mai esistiti: Carmelo Gavotta, ad esempio, altro non è che un anagramma di Marco Lavagetto.
Decostruire il complesso ed esclusivo sistema-arte, facendolo dall’interno e nel modo più ridondante possibile: dare a tutto un’atmosfera surreale e marchiana, mostrando che il nome, la collettività, le aspettative, possono modificare sensibilmente il giudizio e il valore di un artista o di un’opera.
Perché talvolta l’inganno, non è nascondere, ma rivelare.
Riccardo Fioroni