Chiusura del progetto Con-Te-Sto: dalla rete alla comunità di persone

Sabato 18 marzo, nella sala “Domenico Savio” dell’opera salesiana del Pio XI di Roma, si è svolto l’evento finale di restituzione del progetto “Contesto – contrastare la povertà educativa al tempo del Covid”, progetto realizzato con il finanziamento concesso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore, art. 72 del Dlgs. 117/2017.
Volontari, educatori e destinatari del progetto hanno potuto raccontare e condividere questa esperienza durata due anni e che si è svolta in 18 regioni, coinvolgendo 21 sedi. Il progetto è stato promosso da Salesiani per il Sociale APS insieme con le associazioni CGS e TGS.
Ad aprire l’evento finale è stata Barbara Funari, assessore alle Politiche sociale e alla salute del Comune di Roma: sottolineando l’importanza del progetto e del lavoro fatto da Salesiani per il sociale sul territorio nazionale, auspica nella città di Roma collaborazioni future.
Renato Cursi, direttore generale di Salesiani per il Sociale ha proseguito nei saluti istituzionali, ricordando come contrastare la povertà educativa minorile vuol dire far fiorire i talenti, e ringraziando gli operatori ed educatori per il loro impegno di prevenzione. Il sistema preventivo oggi, così come per Don Bosco è un investimento per il futuro dei nostri giovani.
Per il presidente del TGS, Lorenzo Napoli, ha sottolineato l’importanza del lavoro fatto con minori e famiglie, e dei patti territoriali nelle Cinque sedi locali del centro-sud Italia con le quali il TGS ha partecipato al progetto. Tre sedi hanno lavorato in completa autonomia (Ruvo di Puglia, Brienza e Soverato) realizzando localmente tutto il progetto, mentre due sedi (Macerata e Salerno) hanno collaborato con le sedi locali di Salesiani per il Sociale APS (Macerata e Napoli) curando la realizzazione di un’attività specifica.
Cristiano Tanas, presidente del CGS, ringraziando volontari e operatori delle sedi, ha ricordato il contributo al progetto con il sostegno scolastico: l’obiettivo era quello di fornire ai ragazzi convolti nel progetto gli strumenti per acquisire autonomia nell’apprendimento, seguendoli nel metodo di studio. Il CGS è stato impegnato con tre sedi: Genova, Cagliari e Taranto. In tutte e tre le sedi si sono svolti eventi finali che hanno permesso anche un confronto tra le famiglie.
Don Roberto Dal Molin, presidente del Centro Nazionale delle Opere Salesiane ha ricordato l’impegno dei salesiani a proseguire con la rete che si costruisce quando finisce un progetto. “I ragazzi chiedono attenzione, per loro dobbiamo essere un’accoglienza e un accompagnamento”.
I numeri, gli obiettivi raggiunti, e le attività: lo scenario del progetto lo ha spiegato Simone Di Pancrazio, responsabile del progetto. “Siamo partiti dagli effetti della pandemia: le scuole hanno fatto un grande lavoro ma ci sono state tante difficoltà per i minori con il blocco delle attività non formali. Il progetto è stato innovativo. Prima di tutto per il lavoro sulle relazioni tra i ragazzi, poi con le famiglie”. Tanti i soggetti coinvolti oltre ai minori: la cabina di regia locale, le scuole, i territori e i volontari.
Roberto Maurizio, uno degli esperti che ha guidato le sedi, ha ricordato come ci siano stati oltre 1000 minori che hanno partecipato alle attività, 600 quelli che hanno seguito le attività di supporto scolastico in modo continuativo, 340 hanno seguito le altre attività. Attività che hanno richiesto non meno di 6mila ore di lavori complessive, con 250 volontari che hanno partecipato allo sviluppo di attività. Questo è il valore aggiunto del progetto: tutte le sedi hanno realizzato le attività e anche dove non è stato possibile sottoscrivere un patto con le famiglie, questo non ha impedito che l’attività sui ragazzi proseguisse.
Enrico Miatto, altro membro del gruppo di esperti che ha seguito le sedi, ha invece fatto un focus sui minori, protagonisti dell’intervento nel supporto scolastico, nel lavoro di sostegno psicopedagogico e di socializzazione. I minori intercettati sono stato per lo più maschi (il 71%), di origine italiana che frequentano le scuole inferiori di secondo grado. “Il monitoraggio ha consentito a tutte le équipe di utilizzare un comune strumento di osservazione guidata, basato sulla percezione del cambiamento che rilevava nei soggetti”, ha concluso.
Rosita De Luigi, ultimo tra gli esperti a prendere la parola, ha sottolineato la parte che ha riguardato le famiglie e i territori. Le famiglie, ha ricordato, sono luoghi educative, luoghi interculturali e nel corso del progetto si sono incontrate tante modalità di cura e non aver cura dei figli. L’asse di lavoro che poi ha riguardato la costruzione dei patti territoriali ha sollecitato i territori a riflettere sui significati e le modalità di costruire comunità educanti per contrastare le diverse forme di povertà educativa.
Donata Bianchi, dell’Istituto degli Innocenti di Firenze e Ivan Tamietti della Fondazione per la scuola di Torino hanno restituito un contributo dopo aver ascoltato le relazioni del progetto. Per Bianchi, i progetti del sociale che si muovono dentro vincoli che a volte producono degli sprechi devono essere accessibili a tutti, perché le fragilità dei minori si evidenziano in tutti i contesti. Per Ivan Tamietti, invece, per lottare contro la dispersione scolastica i ragazzi devono essere inclusi.
Nella seconda parte dell’evento finale c’è stato lo spazio per le testimonianze. Ha iniziato Daniele Spadola, della sede di Modica: “Ho capito che dobbiamo prenderci cura dei ragazzi prima che abbiano difficoltà e per fare questo, serve coinvolgere prima anche le famiglie”.
Michela Pizza, educatrice specialista del CFP del Pio XI di Roma ha raccontato cosa vuol dire lavorare con ragazzi che hanno bisogno di tutto, e lavorare anche dopo la scuola per offrire ai giovani un luogo dove rifugiarsi e uscire da casa.
Daniele, invece, è uno dei ragazzi che frequentano il Pit-Stop, ha raccontato la sua bella esperienza con il Pit-Stop, con i compiti, il cineforum e i giochi fatti insieme.
Da Prato, Sara Rosalina Maria Pulejo ha invece spiegato come sia stato importante avere figure professionali che hanno aiutato nella gestione delle attività stesse. La difficoltà è stata quella di entrare nelle famiglie, perché Prato ha una realtà multiculturale e la mancanza di un mediatore si è sentita.
Da Terni, Diego Esposito, coordinatore educativo ha riportato la bella esperienza del coinvolgimento delle famiglie tramite il tam tam: all’inizio l’incontro non è stato facile, anche perché per il doposcuola non ci sono state segnalazioni dalla scuola ma solo tramite il passaparola e con famiglie che non erano europee e in molti casi, gli adulti non parlavano inglese.
Il tutor delle famiglie della sede di Roma, Flavia Missi, ha raccontato delle difficoltà, come nel caso di Terni, di dialogare con loro, soprattutto con le famiglie di migranti che hanno culture e abitudini diverse.
Per i patti territoriali, Marco Magliano di Vallecrosia ha raccontato le difficoltà iniziali di dialogo con le istituzioni, ma la costanza del loro lavoro ha fatto sì che i cerchi si allargassero e arrivassero a coinvolgere assistenti sociali, assessori, scuole e psicologhe.
Don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale ha concluso la mattinata: “Il progetto non è un semplice strumento, ma un luogo di partecipazione. Nella Tragedia del Covid abbiamo scoperto che la povertà educativa c’è e che, come ci ha ricordato Papa Francesco, non ci si salva da soli. Siamo una grande rete ma dobbiamo passare dalla rete alla comunità di persone, perché non possiamo pensare di tornare a essere quelli che eravamo prima. Dobbiamo essere capaci di contestare perché siamo noi a sporcarci le mani. Quello che abbiamo fatto con questo progetto è la dimensione sociale dell’evangelizzazione”.

 

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